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domenica 13 marzo 2011

L'ARTICOLO 41 DELLA COSTITUZIONE

Sono rimasto stupito dalle poche e blande reazioni all’approvazione da parte del Governo di un Disegno di Legge destinato a modificare l’art. 41 della nostra Costituzione.
La proposta è stata accolta, mi pare, con una sostanziale indifferenza; al più qualcuno ha osservato che sarebbe di scarsa o nessuna utilità allo scopo dichiarato di favorire la libertà d’impresa.
Nessuno, che io sappia, ha duramente contestato la proposta come una solenne sciocchezza. Sottolineo che mi aspettavo una reazione più decisa non tanto , o non solo,“ da sinistra”, quanto proprio dal mondo di quegli imprenditori “sani” che, per riprendere una felice espressione della Presidente Marcegaglia“ si alzano presto la mattina”. Capisco che l’opinione pubblica sia distratta da altri argomenti di maggiore attualità e “glamour”, ma che si dibatta così poco su temi di principio di così grande rilevanza mi pare un ulteriore segno di decadenza del nostro Paese.
Ho lavorato per molti anni nelle imprese, pubbliche e private, con ruoli manageriali, e ho nel tempo maturato la convinzione che l’impresa, piccola, media o grande che sia, ha assunto un ruolo fondamentale e di crescente rilevanza non solo nell’assetto socio-economico di una nazione (o addirittura a livello planetario, ove si pensi alle multinazionali), ma anche nel promuovere il benessere e la qualità della vita della collettività.
Proprio tenendo conto di questo ruolo così importante, mi pareva molto apprezzabile che si stesse affermando e diffondendo il concetto di Responsabilità Sociale dell’Impresa in Europa e, sia pure timidamente, anche nel nostro Paese.
A me pare di notare, rileggendo l’art. 41 della Costituzione, una formulazione che, con grande saggezza e lungimiranza, punti sostanzialmente ad una RSI ante litteram :
“ L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”

Modificare una norma di principio così chiara, bella e anticipatrice significherebbe tornare indietro di decenni nella filosofia dell’impresa, rischiando di vanificare il lavoro avviato fin dagli anni ’90, in sede ONU, UE (ma anche, in qualche misura, da parte del Governo italiano) per promuovere la cultura della RSI .
Può forse apparire eccessivo attribuire un potere così devastante alla semplice modifica di una norma; ma occorre tener presente come non sia affatto facile esercitare sulle imprese quella “moral suasion” che li porti ad assumere e interiorizzare liberamente concetti, valori e prassi della RSI; se poi si affermassero, con l’autorevolezza di una norma costituzionale, principi che vanno in direzione opposta, pare chiaro che la difficoltà diventerebbe pressocchè insormontabile.

Concludo queste riflessioni con una nota di speranza/auspicio: se si aprisse un serio dibattito, prima di tutto proprio nel mondo delle imprese, sull’art. 41 della Costituzione, forse da un rischio potrebbe nascere un’opportunità: potrebbe essere un’occasione per riproporre con maggior forza all’attenzione delle imprese e dell’opinione pubblica il tema della RSI come strumento per migliorare la qualità del sistema impresa, svilupparne la competitività, accrescere la fiducia dei cittadini, come consumatori e investitori, nei confronti delle imprese.

ITALIANO E BASTA

Sono nato in Puglia (Castellaneta, provincia di Taranto), poi ho vissuto, studiato, lavorato in diverse regioni: in Sardegna, nelle Marche, in Lombardia, in Emilia-Romagna . In tutte mi sono trovato benissimo, ho apprezzato caratteristiche, tradizioni e cultura di ciascuna; ho poi antenati, parenti, amici in altre regioni: Campania, Calabria, Lazio; per altre regioni, dove non ho legami di alcun genere, provo comunque istintiva simpatia: in particolare per la Toscana, per l’Umbria. Tutto questo per dire che non ho radici da nessuna parte, non mi sento particolarmente pugliese, sardo o emiliano, ma soltanto italiano. Italiano e basta. Non credo di essere una mosca bianca: immagino che ce ne siano tanti altri come me, ma sembra che, sommersi come siamo oggi da una debordante e dominante cultura localistica, queste persone non esistano, o comunque non contino nulla. Da tempo allora coltivo un sogno: raccogliere in qualche modo gli italiani che condividono questa sensazione di non-appartenenza ad un particolare territorio, organizzare un evento per contarsi, scambiarsi idee ed esperienze, farsi sentire. Un sogno che, naturalmente, ha trovato nuovo alimento dalla ricorrenza dei 150 anni dell’Italia unita: sarebbe bello, infatti, celebrare questo anniversario anche dimostrando che esistono tanti italiani che sono, e si sentono, italiani e basta: una testimonianza viva e reale dell’Italia unita.