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sabato 11 ottobre 2014

I 5 CANCRI CHE MINANO LA SALUTE DELL’ITALIA

Mi rendo conto che la metafora è sgradevole, ma come definire in altro modo le  cinque più gravi malattie che affliggono il nostro Paese ? Soprattutto volendo richiamare l’attenzione su di esse con la massima durezza, esprimendo così anche il sentimento di esasperazione  che si prova nel vederne in genere abbastanza sottovalutate la gravità e l’assoluta urgenza di contrastarle. Parliamone di queste malattie: la corruzione diffusa, l’evasione fiscale a livelli insopportabili, la diffusione della criminalità organizzata, l’inefficienza della giustizia civile, penale, amministrativa, l’enorme debito pubblico.
La corruzione diffusa: se ne stima l’entità economica in 70 miliardi, ma non è tanto questo dato che può misurarne l’effetto devastante:  più che l’aspetto economico diretto contano le conseguenze indotte in termini di reputazione del Pese, di perdita di fiducia dei cittadini nelle istituzioni, di deterioramento generalizzato dell’etica nazionale.
L’evasione fiscale: a livelli tra i più elevati al mondo. Se ne stima l’entità intorno ai 150 miliardi, circa il 10% del Pil; le conseguenze più immediate sono ben note: una pressione fiscale pesantissima su coloro che pagano regolarmente le tasse, una rilevante riduzione delle capacità di spesa dello Stato.
La diffusione della criminalità organizzata: dominante in tre regioni del sud, con una crescente penetrazione anche al nord; e con un giro d’affari sporchi che porta ad un “fatturato” da grande azienda, stimato da qualcuno superiore a 130 miliardi.
L’inefficienza della giustizia civile, penale, amministrativa: in questo caso è impossibile azzardare una stima attendibile delle ricadute economiche dirette, ma è indubbio che le conseguenze sull’economia in generale, e sulla propensione agli investimenti in particolare, sono pesantissime e ben note. 
Il debito pubblico dell’Italia è da anni ai massimi livelli : ad oggi 2.170 miliari, pari al 136% del Pil, e in continua crescita. Questo comporta un onere annuo di circa 90 miliardi di interessi passivi, una delle principali voci di spesa del bilancio nazionale: un fardello che limita pesantemente le capacità di spesa dello Stato e impedisce l’adozione di misure significative di riduzione della pressione fiscale.  Tutto questo potrebbe sembrare la scoperta dell’acqua calda, giacchè non è vero che non si parli abbastanza di questi mali dell’Italia: se ne parla nei talk show, se ne scrive sui giornali, e in qualunque programma elettorale si possono leggere tante parole in proposito. Si, ma è proprio questo il punto: si scrivono due o tre paragrafi su questi temi, tra decine di altri paragrafi che trattano i più svariati argomenti, alcuni dei quali certamente importanti: non c’è dubbio, ad esempio, che il problema dell’occupazione sia estremamente grave, giustamente il più sentito dalla gente, come importante è anche il tema dell’inefficienza della PA, e tanti altri. Ma quello che manca è il senso della priorità: i cinque cancri citati non si possono mettere sullo stesso piano dei mille altri problemi che affliggono il Paese, occorre che si abbia la consapevolezza dell’enorme gravità di questi cinque “macroproblemi”, del loro essere “a monte” di tutti gli altri, della necessità e urgenza di affrontarli con la massima determinazione e tutti insieme. Esiste infatti una sorta di “sinergia negativa” che determina un effetto che, nel complesso, supera la somma degli effetti prodotti da ciascuno di questi bubboni. Specularmente, una forte azione di contrasto coordinata nei confronti dei 5 morbi produrrebbe  una sinergia positiva in grado di potenziare e rendere più efficaci le singole azioni.
Fino a quando non saranno affrontate con decisione, cambiando metafora, le 5 enormi palle al piede con le quali l’Italia è costretta a competere con altri paesi, il declino del nostro paese sarà inarrestabile.
Naturalmente, non è pensabile di recidere le 5 malformazioni, a colpi di bisturi, in tempi brevi: occorre un tempo adeguato, e in ogni caso non è realistico pensare di poterle annullare radicalmente. Sarebbe sufficiente un significativo ridimensionamento, che ci avvicini ai parametri caratteristici dei paesi più virtuosi. Si potrà anche obiettare che qualcosa è stato fatto o si sta per fare per contrastare i  5 mali; si, appunto: qualcosa. Ma non basta, è drammatica la distanza tra la rilevanza delle azioni in campo e la gravità delle situazioni.
Occorrerebbe una mobilitazione coordinata e costante di tutte le istituzioni e di tutte le strutture dello Stato, della società, dei media; occorrerebbe prima di tutto una diffusa consapevolezza  sulle priorità, poi una pianificazione di azioni che muova dalla definizione di precisi obiettivi espressi chiaramente in termini di quantità e tempi; obiettivi realistici, ma sufficientemente sfidanti. E infine: un costante monitoraggio della situazione di fatto in rapporto agli obiettivi, e l’adozione tempestiva di azioni correttive nel caso di scostamenti significativi tra i risultati ottenuti e quelli attesi.
  Provo un senso di grande sconforto nel constatare che, mentre i nostri maggiori mali progrediscono inesorabili, ci si trastulli per mesi discutendo su temi che saranno pure di una certa rilevanza (riforma del Senato, legge  elettorale, articolo 18, ecc.) ma nella scala delle priorità si collocano a distanze abissali rispetto ai temi fondamentali che ho richiamato.
  So che non è corretto sommare semplicemente gli effetti economici dei cinque fattori: ma, soltanto per disporre di un riferimento  numerico, credo si possa considerare che l’ordine di grandezza delle risorse complessivamente  in gioco sia intorno ai 500 miliardi di euro; se si riuscisse non dico a dimezzare, ma almeno a ridurre del 30% questo enorme dispendio di risorse, quante buone cose si potrebbero realizzare con 150 miliardi?



domenica 20 luglio 2014


Le piccole grandi città d’Italia

Le  piccole città in Italia: una realtà tanto diffusa quanto misconosciuta e da valorizzare


    Leggevo, qualche giorno fa, un articolo di Piero Ottone che descriveva un’esperienza positiva di un suo conoscente che, di passaggio in una città italiana, aveva potuto riscontrare comportamenti civili in un ambiente sereno e confortevole; l’autore quasi se ne scusava, non essendo usuale per i media riportare esperienze positive, perché ritenute non-notizie.
   L’episodio descritto nell’articolo si riferiva a una grande città (Milano, presumo), ma questa lettura mi ha dato lo spunto per una diversa riflessione: se vogliamo trovare nel nostro Paese esempi di civiltà e buona qualità della vita, non dobbiamo guardare le metropoli, ma i tanti piccoli e medi centri urbani. Pochissima attenzione è dedicata dai mezzi di comunicazione a queste realtà, così diffuse nel territorio e così misconosciute. Eppure, l’84% degli italiani (oltre 50 milioni) vive in città con meno di 200.000 abitanti: ed è in queste città che possiamo riscontrare numerosi casi di buon governo locale, di civismo degli abitanti, di servizi efficienti; città, si usava dire con espressione ormai un po’ logora, “a misura d’uomo”. Non fanno notizia? Certo, se le cose funzionano non si sa che cosa dire, i cronisti e le telecamere arrivano a frotte nelle piccole città solitamente tranquille soltanto quando vi succede qualche fatto da cronaca nera; con l’inevitabile seguito di interviste demenziali ai vicini di casa della vittima (solare, piena di voglia di vivere) e dell’assassino (una persona tanto per bene). Si, conosciamo le regole del giornalismo: le famose 5 w, il cane che morde un uomo che non fa notizia, eccetera; ma non mi pare giusto ignorare la quotidianità di queste realtà, forse è proprio grazie ai 50 milioni di italiani che vivono e lavorano “in provincia” che questo Paese in qualche modo va avanti.  Non posso e non voglio riportare degli esempi: l’elenco risulterebbe al tempo stesso troppo lungo e troppo limitato, dal momento che l’esperienza diretta di una singola persona non può che essere estremamente parziale. Ma sarebbe bello che, non da giornalisti, ma da cittadini, ciascuno di noi, guardandosi intorno, provasse a scoprire alcune di queste realtà positive e, magari, le facesse conoscere: sono convinto che dall’insieme delle testimonianze scaturirebbe un’immagine del nostro Paese migliore di quella che usualmente gli viene attribuita. Sia chiaro, però, che con queste riflessioni non intendo riproporre la vecchia idea del “piccolo è bello”. So benissimo che piccolo può essere brutto, bruttissimo; voglio solo dire che nel piccolo è più probabile ritrovare dei buoni esempi.